CALCIOSCOMMESSE. CONTE si difende con 23 testimoni

RASSEGNA STAMPA – CORRIERE DELLA SERA – (Andrea Arzilli) – “Ho detto la verità, ora torno ad allenare, la cosa che faccio meglio”…

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In coda alle quattro ore di interrogatorio alla Procura della Figc, la posizione di Antonio Conte non si è né complicata né semplificata, risulta solamente un po’ più approfondita. Ieri accusa e difesa si sono confrontate a lungo, entrando nel merito delle dichiarazioni di Carobbio che inguaiano Conte circa la riunione tecnica prima del Novara e l’accordo sottobanco con l’AlbinoLeffe, e aggiungendo sul piatto i jolly a disposizione. “Sono sereno, mi sento sollevato e soprattutto felice di aver potuto dire la verità, è quello che volevo già fare da tempo — ha detto l’allenatore della Juve a fine colloquio —. Ho chiarito tutto e sono totalmente soddisfatto, finalmente ho potuto raccontare la verità e sono contento di poter andare in Valle d’Aosta per tornare a fare quello che sono più bravo a fare: l’allenatore”.

Il sospetto dell’illecito per la riunione tecnica citata dal pentito potrebbe essere uscito indebolito dai 23 testimoni che negano l’accaduto, otto transitati fisicamente dalla Procura, più le quindici firme portate ieri ai federali da Conte e dal pool di avvocati per dare forza alla tesi della difesa. Ma l’episodio non è stato certo depennato dai federali, nemmeno derubricato a semplice omessa denuncia: un conto è sapere, un altro è dire a tutti “state tranquilli che siamo d’accordo”. Anche se gli astanti hanno negato in blocco, le parole del pentito restano ‘credibili’, rafforzate dai riscontri anche indiretti che la Procura continua a considerare attendibili quando vanno di pari passo alla logica.

E poi, nel procedimento sportivo, l’onere della prova spetta alla difesa. Il materiale prodotto da Conte e dai suoi difensori ha tentato di scardinare le certezze dell’accusa sulla partita con il Novara e su quella con l’AlbinoLeffe, nella quale Carobbio non parla mai di Conte, ma cita il suo braccio destro, Cristian Stellini. “Fummo tutti d’accordo, squadra, staff e allenatore” si legge nel verbale di Carobbio. Nel caso, per la Procura il tecnico della Juventus non poteva non sapere, la logica dell’accusa suggerisce che ci fosse una consapevolezza globale di Conte su quanto gli stesse accadendo intorno. E non è un caso che i federali, nell’interrogatorio, abbiano fatto riferimento al compagno di stanza di Carobbio in Toscana, Salvatore Mastronunzio. L’attaccante è finito nell’inchiesta dopo le rivelazioni di Gervasoni sull’Ancona e, per questo, ha già subito una sonora squalifica. Ma dopo l’Ancona fu prelevato dal Siena di Conte, con cui entrò in collisione fino a finire fuori rosa: perché litigarono? Perché Conte decise di spedirlo in tribuna? Forse perché sapeva dei giochi pericolosi del suo giocatore? Queste le domande poste dagli uomini di Palazzi.
Insomma, la partita è ancora aperta e le contestazioni mosse al tecnico della Juventus al momento non vacillano più di tanto. La difesa ha puntato molto sulla tesi dell’acredine personale di Carobbio, il calciatore era invisibile al tecnico e fuori dal gruppo dei titolari. Tanto rancore da rendere plausibile il teorema della vendetta. Più avventuroso il tema dello screzio tra mogli, sul quale è stato lo stesso pentito a emettere la sua sentenza: “Secondo voi può essere una cosa normale — ha detto Carobbio a radio ‘Rtl 102,5’ —, può essere una difesa logica? Però a me non interessa, io sono sereno”.