EURO 2012. La SPAGNA ai rigori stende il PORTOGALLO. Ora ritrova ITALIA o GERMANIA

RASSEGNA STAMPA – LA GAZZETTA DELLO SPORT – (Paolo Condò) – Gli uomini di Bento piangono l’occasione perduta, Ronaldo sbaglia un gol al 90′. La squadra di Del Bosque sfiderà ancora gli azzurri o i finalisti battuti nel 2008…

(getty images)

 

Un altro cucchiaio, simbolo ormai insuperabile di quest’Europeo, apparecchia alla Spagna la terza finale consecutiva in un grande torneo. Sergio Ramos, che in Champions aveva calciato alla luna l’ultimo rigore della semifinale col Bayern, ha la testa fredda e los huevos buenos per eseguire alla perfezione la lezione di Pirlo, spingendo all’errore decisivo Bruno Alves, che nella fila dal dischetto aveva il numero dopo il suo. Ma la Spagna che nella notte decolla per Kiev non è più la squadra meravigliosa del 2010; il problema del centravanti è ormai evidente, il cigolio di Xavi avvertibile, in troppe occasioni occorrono dosi insolite di mestiere per portare a casa la pelle. Ancora una volta Casillas non prende gol, ma ai campioni del mondo occorre la prevalenza nei supplementari per meritare fino in fondo l’approdo ai rigori. Prima piace di più il coraggio del Portogallo, cui manca solo il grande numero di Cristiano Ronaldo per vincere prima del limite. Più che mai la cima Coppi dell’Europeo azzurro è il match con la Germania: se riuscissimo a scollinarlo, la finale sarebbe meno complicata.

 

Pressing alto. Il messaggio che il Portogallo invia sin dal fischio d’inizio è opposto a quello tremebondo spedito dai francesi nei quarti: pressing alto e occhi di tigre, si va a stanare la Spagna cacciando il pallone ovunque si trovi. I battitori sono Veloso, Moutinho e Meireles, gli scout che seguono le piste della boccia sono Almeida e Nani, il cacciatore con la carabina è ovviamente Ronaldo, fulmineo nel mettersi in posizione di sparo alla minima – ma veramente minima, e infatti la mira è sballata – occasione. In fase di possesso, poi, la catena di gioco mancina Coentrao-Cristiano funziona che è un piacere, con la conseguente difficoltà di posizionamento degli spagnoli: Silva rincorre il terzino meno del dovuto, Arbeloa è costretto a sdoppiarsi accettando il confronto in campo aperto con il treno Coentrao, e lasciando dunque Ronaldo alle cure di Piqué. Sono situazioni rischiose, giocare uno contro uno con un ghepardo non è mai buona politica, ma la brillantezza del pressing portoghese in mezzo costringe la Spagna a saltare diverse fasi di palleggio, e persino all’eresia del lancio lungo.

Negredo no. La scelta di Del Bosque di puntare su Negredo è un errore, perché se c’era una difesa avversaria che si poteva buggerare con il falso centravanti era proprio il Portogallo dei bronzi di Oporto Pepe e Bruno Alves. Dando loro un punto di riferimento, il c.t. spagnolo non costringe gli stopper di Paulo Bento a uscire dalla linea difensiva, mancando così di spettinare il discreto ordine davanti a Rui Patricio. Il tiki-taka della Spagna questo persegue, abitualmente: la semina del disordine, nel quale è più facile rintracciare la situazione buona per colpire. Con un palleggiatore come Fabregas in meno, però, Del Bosque non riesce a creare le superiorità numeriche che sono il marchio di fabbrica del Barcellona, suo ispiratore di gioco. Xavi è arrivato all’Europeo stremato dalla lunga stagione e la guardia di Veloso gli impedisce qualsiasi giro di vento; alle sue spalle Xabi Alonso è pressato altissimo da Moutinho, mentre Busquets deve vedersela con Meireles.

La chance. Nel finale dei tempi regolamentari, in un minuto bollente come il numero 89, Meireles conduce un contropiede in acque internazionali che accorcia la vita dei (pochi) tifosi spagnoli arrivati fin qui. Meireles corre centrale con la palla fra i piedi e la testa alta, calcolando in un frenetico tempo reale se gli convenga aprire a Nani sulla destra, a Ronaldo sulla sinistra, o provare a chiudere in proprio il coast to coast. La soluzione che infine battezza è la più semplice, palla al fuoriclasse e che se la sbrighi lui: il tiro di Cristiano è ancora una volta fuori bersaglio, e il rimpianto nelle cose perché sin lì non è che ci fossero state occasioni migliori. Anzi. Al 90′ il piatto più che piangere si dispera: un tiro nello specchio del Portogallo al 2′ – corner insidioso di Veloso che Casillas schiaffeggia oltre la traversa – un tiro nello specchio della Spagna al 67′ – una telefonata long distance di Xavi.

Ecco la Spagna. La partita resta sempre uguale a se stessa, con i portoghesi attenti e coraggiosi nel salire il più possibile e gli spagnoli un po’ dispersi nella ricerca di sincronie che per tutto l’Europeo sono parse più faticose che in passato. In assenza del miglior Xavi, e con Busquets e Xabi Alonso imprigionati dal pressing di Meireles e Moutinho, la qualità iberica diventa contundente solo quando Silva e Iniesta, muovendosi dalle corsie verso il centro, entrano in connessione. Ma non succede spesso, tanto che Del Bosque allo scadere dell’ora di partita prova ad allargare il campo con Jesus Navas. E, in vista dei supplementari, l’ingresso di Pedro equivale alla busta di zuccheri che il ciclista ingoia ai piedi della salita: l’energia entra subito in circolo, e nell’extra time la Spagna prende il sopravvento rendendosi finalmente pericolosa. Iniesta manca una chance, un tiro di Navas viene assorbito da Patricio, Coentrao recupera alla disperata una fuga di Pedro. I due giorni di riposo in più del Portogallo sono ormai spesi, eppure la Roja non passa. E’ giusto che la soluzione venga rimandata all’ordalia dal dischetto.