GAZZETTA DELLO SPORT. Milan, operazione +7 contro il clone di Pep

(Getty images)

Fascino e ossessione. L’ingombrante paragone col Barcellona accompagna dalla genesi il cammino della nuova Roma di Luis Enrique. La suggestione fornita dalla provenienza del nuovo allenatore — al suo esordio sulla panchina di una prima squadra — è stata indispensabile per conquistare e conservare la fiducia dei tifosi; la maledizione invece è data dal costante paragone con un modello oggettivamente inarrivabile.
Similitudini Una cosa è certa: il gioco della Roma è senz’altro diverso rispetto a quello delle altre squadre italiane. E se alcuni dati (possesso palla, supremazia territoriale, pericolosità, palle giocate) sono inferiori di un niente solo a quelli dello stesso Milan, il modo per arrivarvi è sensibilmente differente, anche grazie all’utilizzo in mediana di giocatori con minore vocazione alla copertura (Pjanic e Gago) rispetto a quelli rossoneri. D’altronde Luis Enrique ha sempre detto: «Ad uno bravo tecnicamente posso insegnare a difendere, il contrario invece è molto più difficile». E allora, come il Barcellona. Lo spagnolo ha i due esterni di difesa altissimi e il mediano davanti alla retroguardia pronto ad abbassarsi fra i centrali.
Differenze Rispetto a inizio stagione, però, il possesso palla dei giallorossi è diminuito e nel contempo si è fatto più efficace. Inoltre adesso, con gli avversari che vanno inizialmente in pressing sui portatori di palla, si vedono più spesso i lanci lunghi a scavalcare la mediana. Al di là della superiore tecnica di base dei catalani, però, la prima differenza è il ritmo che sanno esprimere: impressionante. E poi c’è il fattore Messi.