Il MESSAGGERO. Incertezza fino all’ultimo

: avrebbe circa il 60% del 60% della ”DiBenedetto As Roma llc”, spendendo per parte sua, tra la quota parte del 67% del club e l’opa, 40,7 milioni sui 112 milioni complessivi. Ma nella documentazione fino a ieri sera pervenuta a Rothschild, secondo quanto risulta a Il Messaggero, mancherebbero la prova della ”tracciabilità” dei fondi riconducibili al socio di Red Sox e a un altro dei cinque investitori: Julian Movsesian, di professione assicuratore. Per essere più precisi, le garanzie ricevute da DiBenedetto non sarebbero complete e gli sono state chieste ancora integrazioni. Degli altri tre co-investitori, invece, Michael Ruane, James J. Pallotta, socio della squadra di basket Celtics, Richard D’Amore che dovrebbero dividersi più o meno in parti uguali il restante 40% della ”DiBenedetto As Roma llc”, non ci sarebbero problemi, avendo fornito tutte le credenziali. Stamane sarebbe in programma una nuova riunione in conference call fra Roma e Milano, allargata fra Paolo Fiorentino, Piergiorgio Peluso, i membri del consiglio di Roma 2000 (Attilio Zimatore, Rosella Sensi, Antonio Muto), i legali degli studi Grimaldi e associati, Carbonetti, Lovells e i banchieri della Rothschild. Considerando il fuso orario, ci si augura che quando in Italia è notte, a Rothschild possano arrivare le ultime carte mancanti, relative a DiBenedetto e Movsesian: si tratta della prova dell’esistenza dei soldi da investire con la certificazione che queste risorse i due personaggi effettivamente le abbiano accumulate con la propria attività. Un eccesso di zelo? Solo cautela e prudenza, fidarsi è bene, andare coi piedi di piombo dopo il caso-Fioranelli, è meglio. Nel vertice di oggi può succedere di tutto, nel senso che se la documentazione fosse ritenuta idonea, Zimatore, Sensi e Muto potrebbero convocare seduta stante un cda straordinario e deliberare l’accettazione dell’offerta con la concessione di 30 giorni di esclusiva. Fino al 15 marzo c’è tempo per fare il contratto definitivo e se possibile, alzare il prezzo. Poi la firma, la richiesta dell’ok all’Antitrust e in parallelo la convocazione dell’assemblea a cavallo di Pasqua. E se invece le carte fossero insufficienti? Può succedere di tutto. Quasi escluso che Unicredit decida di rompere con gli americani: piuttosto ieri sera, accanto a una ulteriore proroga dei tempi, faceva capolino l’ipotesi che per rafforzare i cinque investitori Usa potrebbero arrivare partner italiani. Sì, quegli investitori che in base agli accordi fra Unicredit e il gruppo Usa sarebbero potuti entrare all’interno del 40% di piazza Cordusio. Secondo il ”patto” fra Unicredit e gli americani, infatti, la banca si impegna a restare solo col 5% girando il restante 35% ad altri partner graditi agli Usa in base alla compatibilità col piano industriale da sviluppare nei prossimi cinque anni. E che oltre a garantire una squadra forte per restare in Champions League, prevede una crescita del fatturato da 130 a 180 milioni. L’offerta presentata dagli americani valuta il 67% della As Roma 77 milioni – da suddividere sempre tra il 60% a loro e il 40% a Unicredit – più 35-40 milioni per l’opa, più una ricapitalizzazione da 40 milioni del club da fare al momento dell’ingresso nella società e altri 40 milioni di rafforzamento patrimoniale nel giro di qualche anno.