GAZZETTA DELLO SPORT. Ibra: «Mancini il fighetto doveva restare. Milan, al debutto spaccai un tavolo»

GAZZETTA DELLO SPORT. Ibra: «Mancini il fighetto doveva restare. Milan, al debutto spaccai un tavolo» 

«Tutti qui mi hanno fatto sentire necessario Di questo avevo bisogno dopo Guardiola»

(getty images)

Seconda puntata dell’intervista de La Gazzetta dello Sport a Ibra. Si parla di Champions. Stagione 2007-08. Inter eliminata dal Liverpool e Mancini, «quel fighetto con i fazzolettini nel taschino della giacca», come scrive l’attaccante svedese, annuncia che se ne va.
«Non l’ho capita quella cazzata. Mancini era bravo, la squadra gli voleva bene, stavamo crescendo. Perché quelle parole? Così ha perso la fiducia di tutti».

Lei si era commosso per uno striscione degli ultrà per la nascita di suo figlio Maximilian. Eppure, dopo cinque minuti a Barcellona, baciò subito la nuova maglia. «Quel bacio quasi me lo imposero. Me lo ripetevano tutti: bacia, bacia… Di solito faccio di testa mia, ma ero così emozionato di essere nel grande Barcellona, in quello stadio, che obbedivo a tutto. Sentivo che con l’Inter non avrei vinto la Champions, lì ero certo di raggiungere il grande traguardo. Le ultime parole che mi disse Mou: “E invece la vinceremo noi”. Mantenne la promessa».

Quelli del Milan come la guardavano quando è arrivato? «Come quelli dell’Inter quando arrivai. Sembrava che mi dicessero: “Guidaci, adesso con te ci divertiamo. Adesso ritorniamo a vincere”. Mi hanno fatto sentire necessario, importante. Di questo avevo bisogno, dopo Barcellona e Guardiola. Berlusconi mi disse subito che gli ricordavo Van Basten. Dall’Ajax alla videocassetta di Capello, fino al Milan: Van Basten mi ha seguito dappertutto».

Allegri è così diverso da Mourinho e Capello. Le piace? «Mi accolse bene, senza pormi condizioni come Guardiola. Dà tranquillità ed è sempre convinto di ciò che fa. Ha fatto molto il primo anno. Ora deve crescere e capire cosa fare per far crescere la squadra».
Mettiamo che Guardiola si presenti a San Siro con «Io, Ibra» sotto braccio e le chieda una dedica. «Gliela faccio. Io non cerco risse. E non ce l’avevo con le persone, ma con la situazione. Ho detto quello che dovevo dire e basta. Discorso chiuso. Non mi interessa se ho deluso Xavi».

Questo libro lo ha dedicato anche ai bambini. Sicuro che arrivi il messaggio giusto? Che qualcuno non fraintenda? Per arrivare in alto bisogna passare col rosso, dare testate, rubare biciclette… «Io non dico mai nel libro: fate quello che ho fatto io. Le regole vanno rispettate. Io dico: ragazzi, se vi considerano sbagliati, troppo diversi, se vi mettono in un ghetto, se raccolgono firme per mettervi fuori squadra, come hanno fatto a me, tenete duro perché potete farcela anche voi e toccare i sogni. Come ho fatto io».
Ibra, più preoccupato che suo figlio diventi procuratore o giornalista? «Giornalista».