ROMA. ZEMAN. L’addio al veleno e l’utopia dissolta

IL TEMPO – Zeman: “Nessuno mi ha avvisato, io ho dato tutto”. Sulla panchina 243 giorni tra sconfitte e litigi…

(getty images)

RASSEGNA STAMPA – (E. Menghi) – Il viaggio nell’utopia zemaniana è durato sette mesi, 243 giorni per la precisione. Un’altalena di sentimenti, prestazioni, risultati e parole. Tante e piene di promesse all’inizio, troppe davanti a telecamere e microfoni, poche all’interno dello spogliatoio. Fino all’assenza totale, all’isolamento cercato e trovato dal boemo nel giorno del suo addio definitivo. Alle 11.30 era già tutto deciso, il comunicato ufficiale è stato pubblicato tre ore dopo, ma alle 15.02 Zeman è arrivato sotto casa sua, al Fleming, e ha ammesso di non aver ancora avuto notizie o, meglio, di non averle volute ascoltare: “Non ho parlato con i dirigenti, nessuno mi ha detto niente, non ho parlato neanche con la squadra”. Voleva stare da solo con se stesso il boemo, tra la consapevolezza di quanto stesse accadendo a pochi chilometri da lui e un senso di auto-protezione che l’ha portato a dimenticare il telefono e rifugiarsi in una partita di golf. I dirigenti hanno provato a chiamarlo più volte, anche a casa, dove hanno trovato solo la moglie, perciò hanno contattato il suo procuratore Faccini e il collaboratore Modica. Una volta rientrato a casa, Zeman ha parlato al telefono con Baldini. In serata ha fatto scrivere sul suo sito: “Mi dispiace per i tifosi della Roma, ho cercato di dare tutto”. È l’epilogo di una storia iniziata tra gli applausi di più di 50 mila tifosi all’esordio in campionato e finita tra i fischi dei 32.820 volti delusi che hanno contestato squadra, dirigenza e tecnico dopo il 2-4 con il Cagliari. Perché i sogni di mezza estate si sono spezzati davanti ai loro occhi e il progetto che prometteva (almeno) un posto in Champions non ha mai preso forma. Il litigio con De Rossi è stato uno dei primi segnali di scricchiolio. Un attacco frontale, seguito da problemi di ruolo e continue frecciate, che hanno spaccato lo spogliatoio: Totti da un lato, De Rossi dall’altro. Poi è arrivato lo sputo di Marquinho, le panchine di Stekelenburg, il certificato medico arrivato a Orlando da Buenos Aires, dove Osvaldo però festeggiava il Capodanno con la nuova fiamma. La mancanza di dialogo ha fatto definitivamente precipitare la situazione, fino alla penultima conferenza stampa del boemo, che chiedeva un regolamento scritto. La società ha percepito un calo di motivazioni e messo in discussione il tecnico. Zeman viene riconfermato: the show must go on. “Vorrei restare 5 anni” di ce lui. Ma la versione 2 ci mette tre giorni per precipitare sotto i colpi del Cagliari dell’allievo Sau. Lo spettacolo è finito e pure nel peggiore dei modi.