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OBODO: “Volevano uccidermi, sono scappato”

RASSEGNA STAMPA – LA GAZZETTA DELLO SPORT – (Giulio Di Feo) – Il racconto di Obodo sui giorni del suo rapimento…

(Getty Images)

 

Il giorno dopo la liberazione, Christian Obodo sorride e snocciola la storia come se fosse la trama di un film d’azione col lieto fine. Ventiquattr’ore prima però se la stava vedendo nerissima, prigioniero di mezza dozzina di rapitori armati in mezzo alle foreste intorno a Warri. Il centrocampista ha parlato alla stampa, riavvolgendo il nastro della vicenda fin dall’inizio: “Stavo andando in chiesa, avevo appena parcheggiato, quando sei ragazzi armati mi hanno circondato, ordinandomi di andare con loro. Mi hanno infilato in macchina bendato, e sono ripartiti. Non mi dicevano dove stavamo andando. E quando mi hanno tolto il cappuccio, mi sono ritrovato nella foresta”. Una banda di rapitori mal arrangiata, insomma, forte però dell’aiuto di una persona molto vicina al calciatore, “uno dei tanti che ho aiutato, non volevo crederci”. E’ stato lui a comunicare alla banda gli spostamenti di Obodo, che conferma di non essere stato trattato male dai sequestratori: “Ho dormito sul pavimento, ma erano tutti gentili con me. Non hanno preso né il mio portafogli né i miei gioielli, mi hanno assicurato che non mi sarebbe successo nulla, volevano solo il riscatto. Abbiamo parlato come amici, persino pregato insieme”.

Il riscatto. Nel frattempo, si era messa in moto una macchina imponente per la liberazione. La polizia sapeva che si trattava di malviventi locali, che non potevano essere andati molto lontano. In collaborazione coi militari, ha iniziato a setacciare i sobborghi e le foreste intorno a Warri. La famiglia era in contatto coi rapitori per il pagamento del riscatto, con un appuntamento già domenica. Ecco perché, mentre tv e radio diffondevano la notizia del rastrellamento alla ricerca di Obodo, cinque membri della gang tornavano in città per riscuotere la somma. Con Christian rimaneva un solo uomo, armato di fucile. “A un certo punto ci spostiamo verso un villaggio, la zona era sotto l’occhio degli agenti”. Intanto scattava la trappola della polizia su quelli del riscatto. “Arriva una telefonata a quello che mi teneva prigioniero — racconta a Sky il mediano — e sento che dall’altra parte dicono a quello che mi controllava che avevano preso tre di loro, e che quindi avrebbe dovuto uccidermi”. Lì Obodo ha preso il coraggio a due mani: “L’ho spinto con forza, il fucile per fortuna lo teneva fuori posto, e sono scappato via senza guardarmi indietro, urlando il mio nome. Gli agenti erano già vicini, ci avevano rintracciato grazie al segnale del mio cellulare. Lì è finito l’incubo. Ho iniziato a piangere e a ringraziare Dio”. Obodo confessa di non aver mai avuto paura, nemmeno nella foresta, e che questa disavventura non lo allontanerà dalla sua Warri: “Sono nato e cresciuto qui. Ogni volta che torno gioco tre contro tre con gli amici davanti casa, non cambio le mie abitudini. Ma quando ti succede qualcosa così impari molto. E apri gli occhi su tante cose”. Per Obodo ora qualche altro giorno a casa, poi una visita al presidente della Nigeria a Lagos, e fra una decina di giorni il ritorno in Italia. Con in più una storia brutta ma eroica, che fortunatamente potrà raccontare.

Redazione Sportiva