Formula 1, addio Niki Lauda: la leggenda che visse due volte

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Formula 1, addio Niki Lauda: la leggenda che visse due volte.

Quella di oggi è una giornata triste per il mondo della Formula 1 e per lo sport in generale. Infatti, all’età di 70 anni è morto Niki Lauda. Una vera leggenda del motorsport, considerando la sua storia.

L’austriaco non è stato semplicemente un grande pilota, un tre volte campione del mondo. Era uno in grado di aiutare sempre molto i team nei quali ha lavorato, perché aveva una grande conoscenza e una sensibilità tale che gli permettevano di individuare con precisione i problemi delle monoposto. Per i meccanici era più semplice trovare soluzioni e migliorare grazie a lui. Ma Lauda è stato molto di più rispetto a questo, che comunque non è affatto poco.

1° agosto 1976, Gran Premio di Germania di Formula 1 sullo storico circuito Nurburgring: al secondo giro l’allora driver della Ferrari perde il controllo e sbatte contro un costone di roccia. Dopo essere rimbalzata al centro della pista, la monoposto prende fuoco con Niki dentro l’abitacolo in preda alle fiamme e senza il casco (che dopo l’impatto era volato via). Ci vollero circa 55 secondi per estrarlo da lì. Intervennero diversi piloti che si erano fermati per prestare soccorso: tra questi Harald Ertl, Guy Edwards, Brett Lunger e soprattutto Arturo Merzario. Quest’ultimo fu decisivo, riuscendo a slacciargli la cintura.

A Radio Capital proprio Merzario ha raccontato: «Al terzo tentativo ci riuscii, avevo imparato al militare a fare il primo soccorso con la respirazione artificiale e il massaggio cardiaco. Riuscii a salvarlo, quei due minuti furono fondamentali per tenerlo in vita e far intervenire i medici. Mi ringraziò solo nel 2006. C’era troppa rivalità, eravamo davvero nemici amici». L’ex driver italiano salvò la vita a Lauda, che comunque in seguito all’incidente riportò ustioni molto gravi che sul suo corpo sono rimaste poi visibili. Anche i polmoni furono danneggiati, visto che aveva inalato i velenosi fumi della benzina.

Niki fu ad un passo dalla morte in quell’inferno di fuoco, ma ne uscì vivo e dopo 42 giorni tornò in pista. Ebbe un grande coraggio, fu tenace nel voler tornare a gareggiare prima possibile nonostante quanto successo al Nurburgring. Al suo ritorno giunse quarto nel Gran premio d’Italia disputato a Monza. Quella stagione si concluse con il famoso GP del Giappone sul circuito del Fuji, quando Lauda al secondo giro si ritirò a causa delle condizioni impraticabili della pista causa pioggia torrenziale e ciò permise al suo rivale James Hunt di conquistare il titolo per un solo punto. L’inglese della McLaren fu un suo grande avversario in pista, ma in realtà fuori da essa erano molto amici.

Ad ogni modo, l’austriaco divenne ancora di più un esempio per ciò che era riuscito a fare. Tanti avrebbero mollato, lui no. Amava le corse e fece di tutto per tornare in pista. Dopo i due titoli già vinti in Ferrari, voleva prendersi anche il terzo. L’epilogo non è poi stato quello sognato, ma il tris lo ottenne comunque nel 1984 in McLaren l’anno prima di ritirarsi definitivamente dalla carriera di pilota. Difficile per lui stare lontano da quel mondo, infatti in seguito divenne prima consulente Ferrari e poi Jaguar. Dal 2012 è stato nominato presidente non esecutivo del team Mercedes e si è tolto molte soddisfazioni, visti i titoli vinti da Lewis Hamilton e Nico Rosberg. Ricopriva ancora questa carica quando purtroppo è morto in una clinica svizzera dove è stato portato per dei problemi ai reni.

Già ad agosto aveva subito un trapianto di polmone e le sue condizioni di salute non erano buone. Non ci si immaginava che potesse morire, uno come lui che aveva superato l’inferno del Nurburgring nel 1976. Aveva quasi un’aurea di immortalità e ci si aspettava di poterlo rivedere ancora nel paddock per diversi anni. Così non è stato, purtroppo. Lauda comunque ha fatto la storia della Formula 1 e in generale del motorsport, lasciando una grande eredità dietro di sé. Non sono casuali i numerosi messaggi di affetto a lui rivolti in queste ore. Il suo ricordo non svanirà mai.

 

Matteo Bellan