Lazio. Lotito attacca: “Le società sono in ostaggio dei tifosi”

Il patron biancoceleste va giù duro: “Queste sono persone che vanno allo stadio indipendentemente dallo spettacolo sportivo”…

(Getty Images)
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NOTIZIE LAZIO – Non le manda a dire il presidente della Lazio, Claudio Lotito. Il numero uno del club capitolino è intervenuto questa mattina a ‘Uno Mattina‘ per discutere della piaga legata al razzismo negli stadi. Ecco cosa ha detto:

LA CRITICA DEL PATRON “Non possiamo controllare tutti i tifosi. Se uno avesse lo stadio può fare una selezione di chi far entrare allo Stadio perché le persone son note e possono essere vigilate. Gli stadi di oggi non ci permettono di fare questo”.

SULLA NORMA UEFA – “C’è una norma Uefa che si attaglia alle mentalità di alcuni paesi. Siamo tutti contro il razzismo, il problema è capire la portata di questo comportamento. Io ho avanzato alcune proposte e aiuti nelle riunioni svolte prima di attuare questa legge. Ho sottolineato il target di queste persone: persone che vanno dai 14 ai 18-20 anni al massimo. Sono persone che vanno allo stadio indipendentemente dallo spettacolo sportivo, vanno lì solo per potersi realizzare in gruppo. Queste persone non hanno più una formazione che deriva dai valori familiari e della scuola o degli oratori o anche dei partiti che permettevano l’acquisizione di una mentalità forgiata nel rispetto delle regole. Oggi questo non accade più. Hanno una fragilità interiore psicologica e si identificano nel concetto del branco che ha delle azioni in rottura del sistema. Queste persone non conoscono neanche la portata di quello che fanno. Bisogna misurare questa portata attraverso una serie di applicazioni attenuanti in  funzione di quello che hanno fatto le società altrimenti anche le società che mettono in campo una serie di azioni per prevenire il fenomeno vengono punite”.

Sulla decisione di squalificare i campi in caso di episodi razzisti, Lotito si è espresso anche in un’intervista esclusiva a ‘La Repubblica‘:

I CLUB RICATTATI – «Siamo club sotto ricatto, ostaggi. Responsabilità noi? Ma che scherziamo? Che colpa abbiamo noi?».

UNA ‘QUESTIONE ANTROPOLOGICA’ – «Io ho combattuto una guerra senza quartiere a certa gente. E allo stadio mi fischiano ancora oggi. Il problema è molto più grande, e va capito. È in primis una questione antropologica. Prima nella società c’erano i punti di riferimento. C’era la sinergia tra famiglia e scuola, c’era l’oratorio, c’erano i partiti. Oggi tutto questo non c’è più. Ci sono solo giovani psicologicamente fragili. Che si rafforzano nella più banale logica del branco. È attraverso il branco che questi ragazzini, che poi sono tutti tra i 14 e 18 anni quelli che fanno certe cose, si costruiscono un’identità. E lo stadio è il luogo dove si compiono i riti del branco. Quindi bisogna reprimere i fenomeni che arrecano nocumento alla collettività, i fumogeni, le bombe carta, le botte. Ma per quelli di maleducazione occorre intervenire con intelligenza e nelle sedi opportune».

SULLA NORMA FIGC – «La Figc ha recepito una regola europea. Io l’avevo detto subito che andava recepita cum grano salis,le norme devono attagliarsi agli usi e ai costumi dei posti dove si devono applicare, e alle infrastrutture. Savessi uno stadio mio, da 30mila posti, dopo un po’ i tifosi li conoscerei a uno a uno, e potrei rifiutarmi di vendere i biglietti a chi so che si comporta male. Questo avviene negli stadi inglesi, dove c’è un rapporto empatico, intimo col club».

LE MISURE DA ADOTTARE – «Come faccio a punire uno stadio, un club, una città per venti cretini? Ci vuole che la cosa sia almeno numericamente rilevante. Poi occorre distinguere: ci sono le sfaccettature territoriali, che sono frutto di una cultura sbagliata ma che non sono offensive. E ci sono i buu: non sono razzismo, sono stupidità e maleducazione, sono la classica azione i cui effetti vanno molto oltre la volontà di chi li compie. Se ne esce con l’intelligenza di capire quali sono i veri problemi, con la capacità di applicare le norme tenendo conto delle situazioni e con il buon senso di non drammatizzare: in Italia non siamo razzisti, in Italia il razzismo lo abbiamo solo subito».

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