CALCIOSCOMMESSE. “GIANELLO non credibile”. Così la Cgf ha tolto il -2

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LA GAZZETTA DELLO SPORT – RASSEGNA STAMPA – (M. Galdi) – La Corte di giustizia federale ha pubblicato ieri le motivazioni con le quali ha derubricato l’accusa a Gianello, ex terzo portiere del Napoli, da illecito a slealtà per quanto riguarda la partita Sampdoria-Napoli. In particolare emerge da quanto scritto che i giudici hanno ritenuto Gianello un bugiardo tanto che mettono in evidenza che “va poi posto in essenziale rilievo che nel corpo delle fumose e sfuggenti dichiarazioni Gianello non ha mai indicato il prezzo del delitto, ossia il profitto dell’illecito che sarebbe stato conseguito dai calciatori del Napoli. Si parla genericamente di offerta di denaro che in un’avanzata fase dichiaratoria Gianello determina in alcune decine di migliaia di euro. Il punto più grottesco della posizione di Gianello è che l’unico riferimento meno etereo al tema del compenso per illecito viene compiuto con riguardo alla persona poi scagionata, cioè Quagliarella. Con questo però la Corte di giustizia federale smentisce se stessa, perché in altri giudizi aveva ritenuto che l’assenza di uno scambio di denaro non era determinante per suffragare l’accusa di illecito sportivo. L’avvocato Chiacchio aveva puntato la sua difesa di Gianello proprio sul fatto che ci fosse solo slealtà perché il portiere non aveva mai realizzato l’illecito “se non nella sua testa”. È infatti la Corte scrive: “Va riqualificata la posizione di Gianello con riferimento alla partita più volte menzionata, da sussumere nel paradigma della violazione generica dei doveri primari di condotta. Complementare alla relativa affermazione di responsabilità è quella, a titolo oggettivo, della Società Napoli cui il tesserato apparteneva al tempo dei fatti”. Ed è per questo che alla fine il Napoli vede annullata la penalizzazione di due punti in classifica grazie al lavoro dell’avvocato Grassani. Anche Cannavaro e Grava dalla derubricazione di Gianello ne hanno tratto beneficio essendo stato prosciolti. Il loro legale, Malagnini, aveva sempre sostenuto l’estraneità e rifiutato il patteggiamento.